“In questi giorni a Barcellona ci sono 17mila uomini armati. Non si vedeva una cosa del genere dai tempi della dittatura franchista. La risposta del governo centrale è irresponsabile”. Il referendum dell’1 ottobre per l’indipendenza della Catalogna si mostra così agli occhi di Alfonso Bolado, membro della cooperativa “Arç”, broker assicurativo etico che dal 1983 si occupa di sostenere compagnie dell’economia solidale, del mondo della mutualità o del settore delle energie rinnovabili.
Il filo con il nostro Paese passa anche dall’anello del CAES -Consorzio Assicurativo Etico Solidale-, che dall’Italia ha aderito al Manifesto d’appoggio all’assicurazione etica e solidale nato in Spagna e sostenuto il marchio di certificazione “ETHSI”. La realtà socioeconomica catalana e spagnola è al centro dell’attenzione di Alfonso e di “Arç”. Le realtà per le quali hanno curato programmi assicurativi sono 2mila e le persone in carne ed ossa 190mila.
Il mondo dell’economia solidale vede in questo processo un’opportunità per materializzare i suoi principi: la democrazia, l’azione collettiva e la trasformazione sociale. Bolado, però, si affaccia con disillusione al voto di domenica. Seppur con il movimento del “Sì” condivida un pezzo di strada importante.
AB Il nostro “mondo” quello dei movimenti sociali, della partecipazione, di una rete di economia solidale che in Catalogna è forte e strutturata. Per noi essere cooperativa è sempre stata una scelta politica prima ancora che economica. È chiaro che l’emancipazione popolare, lo sviluppo sociale e l’impegno collettivo sono punti a noi molto cari.
Al vostro interno e dentro la “XES” (Xarxa d’Economia Solidària – Rete di economia solidale) le posizioni sono plurali. Non avete formulato un’indicazione di voto per domenica ma scritto un “manifesto”.
AB Esatto. Nel nostro manifesto abbiamo messo al centro i diritti collettivi più che un posizionamento politico sulla questione “tattica” del governo di Catalogna. Certo è che la Catalogna ha carattere nazionale e che bisogna vedere come la configurazione dello Stato spagnolo possa permettere a queste nazionalità di soddisfare la loro “voglia di essere”. Ma il problema è di Stato: urge una rifondazione nel senso di maggiore sensibilità e considerazione. Il problema è che il processo si è polarizzato ed è difficile mettersi in posizione diversa. Tra bianco e nero non ci sono grigi. Ad esempio, l’ipotesi di uno Stato confederale è sparita dal discorso pubblico. Non c’è più dialogo. Ed è colpa di un governo centrale, autoritario e criminale. La risposta armata è stata assolutamente sproporzionata. Alla sfida propagandistica, anche provocatoria se vogliamo, del governo catalano si è avuta una reazione armata basata sulla minaccia della magistratura e della forza.
In Italia i partiti di destra scimmiottano l’appuntamento catalano. Che cosa ne pensi?
AB Il movimento indipendentista catalano è stato sempre molto legato alle classi popolari e alla sinistra. Basti pensare che fino a pochi anni fa la bandiera che si usava di più aveva quattro barre rosse e una stella rossa al centro. Poi quella stella è diventata bianca su fondo blu, uno scambio simbolico che ha significato l’allargamento del campo e della presenza sociale della componente indipendentista. Un movimento diventato trasversale che ha abbandonato il ritornello “socialismo e libertà”.
A favore di quali rivendicazioni?
AB La destra c’è, non lo nego, ma non è maggioritaria. C’è un certo “catalanismo millenarista”, un regionalismo di destra che grida “Spagna ladrona”. O che travisa il benessere della Regione facendo finta che non sia merito di un mercato allargato a tutto il Paese. Ma per la stragrande maggioranza del movimento i temi sono “diritti collettivi”, “bisogno di essere”, “autogestione”. E “reazione”.
In che senso?
AB Quella del governo di Madrid è un’aggressione al controllo delle istituzioni contro le masse di gente che stanno manifestando pacificamente. Per questo abbiamo detto “sì” all’autodeterminazione, alla libertà di decidere tutti insieme, condividendo un’esigenza più che un obiettivo tattico.
Come andrà?
AB La voglia più forte è quella di far andare via Rajoy e una destra nazionalista che ha risposto ai cittadini con polizia e magistratura. Ma la violenza non è nostra. E nemmeno la forza propagandistica.
di Duccio Facchini – tratto da www.altreconomia.it © riproduzione riservata